American Punk Hardcore - Steven Blush (Shake, 2007)

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"Ho scritto American Punk Hardcore in puro stile HC". Steven Blush ha messo subito in chiaro i suoi intenti ed ha fatto un'ottima presentazione dell'hc americano del primo lustro degli 80s, dedicandosi soprattutto alla raccolta di testimonianze dei superstiti e fungendo da collante nella narrazione con la sua esperienza sul campo, lasciando da parte la tipologia del "saggio critico" che mal si sarebbe incontrata con l'attitudine anti-intellettuale del fenomeno, con i pro e contro che questa scelta comporta.

Il libro si divide in tre parti, nella prima ci sono rapide considerazioni generali intorno alla galassia hc, la frattura attitudinale col 77, lo schierarsi comune contro Ronald Reagan, l'estrazione sociale che per l'hc americano, a differenza di quello europeo va cercata anche nei ceti medio-ricchi, non muovendosi infatti su coordinate politiche salvo saltuarie eccezioni (Vedi DK, MDC, Dicks e generalmente i trapiantati a San Francisco, la città più attiva e tollerante in quel senso). In evidenza i rapporti bellicosi con la polizia repressiva fino al look: le bandane e il casual della west coast, nella east un abbigliamento più legato alle catene e al chiodo (vedi Teen Idles, prima band di Ian MacKaye),il cantante dei MDC si vestiva sovente da donna, i 7 Seconds e i kids di Reno si pitturavano di nero sotto agli occhi, gli straight-edgers di Boston erano solitamente con i soli jeans e maglietta ecc, un quadro visivo molto più variegato e mescolato rispetto alle tipologie inglesi.

Nella seconda in vari capitoli si presentano tutte le scene cittadine e regionali americane, dedicando interi capitoli ai gruppi più influenti della scena (Bad Brains, Black Flag, Misfits), mentre altre bands seminali saranno prese come base per trattare le relative scene cittadine come Minor Threat (Washington DC, da qui harDCore), DK (SF) o MDC (Austin). Nella terza, con brevi
appendici si entra più in profondità con riflessioni di quello che era e ha lasciato l'hc in America in termini di mentalità e DIY, con un forte senso di disillusione dei protagonisti per quegli anni.

Il dato più evidente che emerge dalle testimonianze è la componente violenta, sia dei kids on stage, sia del contesto sociale degradato in cui operava l'hc.
Il pogo veniva sostituito dalla slamdance, un tribale rituale di violento corpo a corpo dove si usciva spesso con escoriazioni e nasi rotti. Idem per lo stagediving, il buttarsi brutalmente dal palco tra la calca degli spettatori.Il retro copertina ritrae il famoso salto dalle torri di amplificazione durante un concerto dei Wasted Youth ,si narra che una volta un tizio con gli speroni mozzò persino un orecchio a un kid. Terza caratteristica però dell'area di Boston, erano le "pig-piles", ammucchiate con decine di persone dalle quali si poteva uscire con le ossa rotte. Non compaiono nel libro ma alcune foto di pig-piles sono documentate anche nelle ristampe dell'hc bostoniano targato Taang! e hanno un impatto quasi laocoonteo. A completare il quadro interno da notare come le crews cittadine formassero a volte delle vere e proprie gangs,famose quelle di Huntington Beach, specie quella dei Suicidal Tendencies che non vedevano l'ora di menare le mani e spuntavano pure le pistole.

All'incazzosità dei kids si univa la violenza del contesto sociale. Andare in giro vestiti da punk per alcune grandi città (vedi Dallas) e specialmente nella bigotta provincia era sinonimo di tentare il suicidio. I bifolchi ubriachi con cappello da cowboys e mazza da baseball, le aggregazioni religiose, la criminalità locale (i punks di New York dovevano fare spesso i conti con i Portoricani) e la stessa polizia erano quanto di più pericoloso ci fosse per il movimento. Agguati, pestaggi, interruzioni di concerti erano la norma, i kids hc si difendevano coi denti e con le palle da biliardo nei calzini, ma erano sempre in minoranza.
Ai concerti, raggiungere le 70 presenze era già ottimo, a meno che si trattasse di band seminali e influenti come i Black Flag, i catalizzatori dell'espressione punkhc americana che nelle loro tournee svegliarono e convinsero decine di giovani ad imbracciare gli strumenti, anche nelle sonnolente lande extraurbane americane.

Le scene cittadine tendevano a scambiarsi le bands con scalcinate tournee ricche di peripezie, specie in California, ma le grandi distanze impedivano contatti capillari, in alcuni casi come a Boston si tendeva a rinchiudersi a riccio. Nel profondo sud inoltre, era quasi impossibile dare spazio al punk (Florida,Louisiania ecc).Dal Texas o da altre realtà scomode si tendeva ad espatriare a SF, o altre mete più adatte, dove i kids si riunivano in stabili occupati o come nel caso della Southbay losangelina,in una chiesa sconsacrata di Hermosa.
In evidenza il dato misogino, quando invece il punk '77 sia in Inghilterra che in USA aveva elevato la donna a nuova icona del rock, nel HC erano quasi emarginate dalla sottocultura, a meno che fossero fanzinare, fotografe e parte attiva del fenomeno.
Anche la presenza di individui di colore era una rarità, i Bad Brains furono seminali sia per la musica sia per un'attitudine al rastafarianesimo snob che incontrava parecchie critiche dei colleghi.

Interessanti i rapporti tra labels e bands, spesso polemici, il prototipo indie ha fatto storia intorno a nomi come Dischord, SST e Alternative Tentacles dando vita alle successive culture musicali alternative americane, dal noise al post-hardcore. In coda si allude anche all'arte grafica di fanzine e copertine, che ha prodotto binomi come Winston Smith con i DK,Raymond Pettibon con i Black Flag e Vince Ransid con gli MDC. Immediatezza era la parola d'ordine, a parte l'opera concettuale ironica e ricca di Smith che ben si fondeva con le idee di Biafra, si lavorava sul bianco e nero (inevitabile poi sui volantini fotocopiati) e sui caratteri delle bands e dei loro loghi.

La fine di tutto è intorno all'85, mancanza di ricambio generazionale, volontà di spingersi oltre musicalmente, influssi metal ed eroina hanno steso l'HC, nel corso dei 90s diventato un fenomeno da baraccone per mtv. Green Day & Co. si sono appropriati della fama costruita da altri e le parole di Mike Ness dei Social Distortion sono chiare: "Vorrei dire ai ragazzini di oggi che io presi un sacco di botte affinchè ora possano girarsene liberi con i loro capelli blu".

Infine nell'edizione Shake vi è una postfazione dei Kina, in cui la band valdaostana parla della propria esperienza sul campo italiano ed europeo, mettendo ancora in evidenza il valore assoluto a livello mondiale dell'HC italiano.

American Punk Hardcore è un validissimo testo introduttivo, ma in mezzo ai preziosi aneddoti manca però un approfondimento dell'espressione musicale dell'hc stesso e delle sue istanze creative, visto che i dischi vengono sì citati in abbondanza (compresa l'ottima discografia in appendice) ma il loro contenuto calato nel contesto non viene descritto e sviscerato nè dall'autore nè dai protagonisti. Piuttosto che sapere dell'ennesima scazzottata, in alcuni casi avrei preferito un approfondimento del lato militante (ad esempio le attività di Biafra,i contenuti ideologici, i Fuck Facts ecc non vengono menzionate), e pur essendo impossibile in un solo libro parlare dell HC americano che meriterebbe fior di ricerche e approfondimenti per ogni singola scena e aspetto, vedere solo rapidamente citati gruppi che ritengo pilastri attitudinali e musicali di quella mentalità come Really Red, Poison Idea, Jerry's Kids (quelli di Boston), Lewd ma anche gli stessi DK trattati superficialmente, mi ha lasciato con l'amaro in bocca, ma questo è un dato di carattere personale che non scalfisce l'imprescindibilità del libro di Blush.

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Qui lo speciale sulla serata di presentazione al FOA Boccaccio di Monza (MI)

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