dvd: Kwaidan(Ghost stories) di Masaki Kobayashi (RV, 1964-2008)

Reviewed by psychosis

Tra i massimi registi giapponesi del dopoguerra, Kobayashi trovò con il compositore d'avanguardia Toru Takemitsu un sodalizio cardine per questo lungo film (di 3 ore) diviso in quattro episodi narranti storie di fantasmi nel mondo samurai e in spaccati di vita dell'epoca. Il soggetto è da testi di Y. Koizumi. Il regista attinse dalla tradizione teatrale giapponese (kabuki), rinvigorendola in maniera espressionistica e fantasy, girando le scene quasi interamente in teatro da posa sullo sfondo delle superlative scenografie ideate con Shigemasa Toda, salvo alcune scene esterne.

Kobayashi si ispirò prima di girare alla musica composta da Takemitsu, che oltre alla classica contemporanea dall'inizio dei 60s compose colonne sonore per quasi tutti i grandi cineasti dell'epoca, da Oshima a Kurosawa. La caratteristica saliente di Takemitsu è utilizzare strumenti tradizionali giapponesi ma rielaborandoli con l'elettronica, spingendosi nella musica concreta. La sua musica ambientale e stridente unita al forte impatto visivo dei colori ora contrastanti, ora sfumati in una perenne magnifica fotografia, producono un senso di epos arcano evocativo, un flusso visivo lento, ipnotico, ma sottoposto a improvvisi sprazzi d'azione di "horror" metafisico teatralizzato. La stringatura dei dialoghi e della trama delle storie, consente al fruitore di concentrarsi a un livello di meditazione spazio-suono, grazie anche alla maestria di Kobayashi nella prospettiva e cinemascope, aventi radice nella sua passione per la pittura. Nei titoli di testa infatti, vi sono surreali riprese di colori che si sciolgono e dilatano nell'acqua.

Se la prima e l'ultima storia, ambientate nel mondo samurai, fungono da stilizzato e coinciso intro e outro, le due storie centrali sono sviluppate in maniera più complessa. Da brividi l'ambientazione di una foresta nevosa durante una tormenta, dove un boscaiolo verrà salvato da uno spirito, mentre sullo sfondo troneggia nel cielo un occhio vorticoso. La promessa quasi orfica non mantenuta, fatta allo spirito di non rilevare l'accaduto, avrà conseguenze imprevedibili. Nella terza storia un musicista cieco, "rapito" da uno spirito, dovrà suonare e cantare versi epici ad una corte di samurai defunti in quei luoghi dopo una battaglia con un opposto clan (Kobayashi per la rappresentazione farà uso anche di pitture d'epoca), ma per riuscire a sfuggire da questa possessione, dovrà in seguito compiere un'ardua prova. Anche in questo caso le scenografie, i colori e gli effetti sono suggestivi, a iniziare dai vapori dissolventi dei fantasmi che si ritireraranno dalla scena fino a ritrasformarsi in lapidi nel tempio. Come detto in una nota critica da Di Marino, avviene nel film un eterno incontro tra la vita e la morte.

"Kwaidan" nella sua potenza espressiva e sperimentale, è un'esperienza totale richiedente una convinta predisposizione mentale, nonchè una delle vette dell'arte del '900.


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