Netmage 08 – 26/01/08 @ Palazzo Re Enzo (BO)

Report by Gilly Sephira – Pics by Drex & Gilly

Bologna città divisa fra completo silenzio e fiumi di persone voci e rumori; è proprio in questa seconda faccia che si svolge Netmage (giunto all'ottava edizione) all'interno del palazzo Re Enzo in Piazza Nettuno.

Chiunque passi vicino a questi palazzi può pensare che all'interno vi siano i soliti eventi mondani, ma Netmage è qualcosa che squarcia questo teatrino convenzionale puntando alla sperimentazione, alla penetrazione tramite rumori ed immagini, a suoni a cui “non si è abituati”, ma che inevitabilmente attraggono l'interesse degli aficionado e la curiosità di chi per la prima volta decide di affacciarsi sull'orlo di un burrone che in fin dei conti non ha niente di pericoloso.

L'accoglienza è già tutto un programma, ovvero l'installazione audio Pneumatic Sound Field, che si incontra nel cortile appena entrati nel palazzo, ad opera dell'olandese Edwin van der Heide.

Il rumore sembra quello di una cascata frammentata ricreata in laboratorio; un reticolo endoplasmatico al cui interno passano sostanze costituite da aria compressa che si scaricano dentro di noi che passiamo a fianco, sopra, sotto e ne diventiamo il nucleo, anche per pochi secondi.

Tappa fondamentale è il recupero del kit di sopravvivenza per affrontare la serata, tra cui l'utilissimo librettino illustrativo, completo e creato a livelli ottimali dal punto di vista grafico e in grado di offrire spunti che servono da trampolino di lancio per affrontare le performance e le installazioni.

Il Live Media Floor è una stanza molto profonda con lampadari che risultano quasi barocchi confrontati con la tecnologia presente all'interno. Basta meno di un'ora per vedere lo spazio cominciare a riempirsi come una stiva di una nave nel primo tragitto del commercio triangolare (le porte che dovranno gestire il flusso poi sembreranno minuscole crepe in una diga che non aspetta altro che scoppiare).

Sparse nello spazio sono adibite piccole piattaforme su cui ci si può sedere, sdraiare, ballare etc. e dalle quali si possono seguire le performance senza essere necessariamente sotto al palco, poiché sono messe in modo tale da riuscire a vedere perfettamente i tre schermi (a occhio di almeno 3x3 m) al centro della sala che proiettano ciò che avviene sul palco e i visual.

Il primo ospite del salone è il collettivo Rev99 , che propone l'esibizione del duo composto dall'americano 99 Hooker , che come un tessitore fila sul suo arcolaio i suoni prodotti dal komungo elettronico suonato dalla coreana Jin Hi Kim.

Le dita si muovono veloci sulle corde dello strumento e già cominciano ad intessere una trama circolare che verrà resa pulsante e circolare dalle mani addette alle macchine e dai pedali di riverbero.

Il suono sembra essere diviso in due piani diversi, sviluppati su altezze gravi o acute; come un'illusione acustica in cui quando ci si fissa su un piano compare automaticamente l'altro – il momento totalizzante sovviene quando la percezione dei due piani risulta unita, in cui l'orecchio riesce a realizzare entrambe le facce dell'unica realtà.

Ciò che segue è un pezzo di storia che riprende vita (solo a metà con Simeon Coxe III, visto che Danny Taylor non è più tra noi). È dagli anni '90 che i Silver Apples, fautori dei primi album di musica elettronica, non conducono attività live e il Netmage risulta un'ottima occasione per continuare il lavoro il cui inizio risale agli ormai lontani anni '60.

Riprende vita il Joshua Light Show , immagini liquefatte, bolle di tempera svuotata velocemente su una superficie piana, l'importanza e la vivacità del colore, laser vellutati, globuli rossi che pulsano e si colorano di sangue semi coagulato dalla natura sempre diversa, tamponi su lucidi usati come divertimento, frattali giostre e stelle rotanti. Si potrebbe considerare kitsch, ma le immagini si uniscono alle percezioni soggettive e alla musica, su una sponda diversa rispetto alla pura tecnica razionale.

Essendo uno dei gruppi pionieri di un nuovo genere troviamo un miscuglio eclettico di diverse sonorità: la natura psichedelica, il rock, svariate frange di elettronica create da strumenti come synth, pedali etc.

Il ritmo pulsante caratterizza gran parte delle esecuzioni e si alterna con pochi momenti di calma ambientale e riflessiva. Le melodie sono circolari, colorate, gioiose, portano la mente in altri pianeti e luoghi in cui non si fa la guerra ma avvengono ininterrotte conciliazioni ed unioni.

La sala Mangrovia è molto più piccola rispetto al Live Media Floor, le performance che ci aspettano devono essere “meritate”, attraversando un mare denso e conquistando la vetta in cui finalmente si trova l'ingresso. Purtroppo perso i livemedia di Visomat inc./Errorsmith/Telematique

Carlos Giffoni , uno degli organizzatori del No Fun Fest di Brooklyn, apre la danza di rumore, le sue mani creano un set composto da tronchi di frequenze penetranti, da accogliere preferibilmente seduti o allungati a terra, perché altrimenti si può perdere l'equilibrio.

Godere penso sia la parola corretta, il corpo vibra insieme al noise massacrante, colossale, ampio; burrasca marina, ambiente acquatico andato in corto circuito, la tempesta che scorre e tiene lo stomaco premuto come si stesse sostenendo violentemente il diaframma.

Gli occhi si rivoltano indietro e la testa rimane come sospesa e malleabile tra campionamento, improvvisazione, hertz, decibel, vibrazioni, manipolazioni. Suoni che sembrano prendere forma, come il ronzio che ad occhi chiusi sembra una mosca che si agita proprio davanti al nostro corpo.

Non c'è il classico proiettarsi in un tunnel di visione e smembramento, perché noi stessi diventiamo tunnel per una potenza che non può essere incanalata in una semplice rete; come se la rete dei nadi diventasse una sola tra continue esplosioni e luci accecanti.

Dominick Fernow si è attribuito uno pseudonimo che già evoca ciò che è in grado di creare, Prurient . Artista americano influenzato da diverse collaborazioni non solo in campo noise ( Wolf Eyes , Richard Dunn , il Nihilist Assault Group …), ma anche in quello del black metal (Akitsa).

Si esprime principalmente tramite una spietata vocalità, un urlo modificato e amplificato volto a trasmettere strazio, a far arrivare ad un livello di saturazione sull'orlo di traboccare, senza scoppiare altrimenti finisce la sofferenza. Purezza di noise.

Cupezza squilibrata, gridi che provengono dalle fondamenta di una struttura metallica e che rischiano di far cadere i limiti rivolti verso il cielo. Cigolii insistenti che non lasciano spazio alla lamentela del timpano, i volti si distorcono nelle più atroci maschere di carne nel massacro e nel pianto.

Pressione e distensione nello stesso momento.

Vibra il terreno sotto al corpo, mentre tutto si fa leggero e scompaiono anche le persone; le voci di disturbo diventano suoni liquefatti nel turbine. Buio.

I Demons sono una tempesta placata, letteralmente un rilascio improvviso di tensione, che a mio parere si è protratta troppo a lungo, cadendo in una pericolosa monotonia ripetitiva.

Nate Young ( Wolf Eyes , Mini Systems , Hatred ) e Steve Kenney ( Isis Werewolves , Pterodactyls ) sono accompagnati dalle creazioni visive di Alivia Zivich , colori super saturi, informi, pellicola sgranata, psichedelia, ipnosi – il resto del tempo è passato ad occhi chiusi con fame di sensazioni.

L'atmosfera è più languida, ricurva su sé stessa, molto cupa; le ripetizioni diventano ondeggianti, ma sono altresì frammentate e causano distrazione improvvisa, perdita di orientamento nella tessitura dei pezzi. Imprevedibilità, come tante sveglie che interrompono l'abitudine al sonno o al sogno che si concretizza quasi in realtà, o sprofonda nello stato più profondo di coscienza.

Il pavimento sembra trasformarsi in una serie di cunette vibranti che si muovono a mo' di terremoto, stralci di melodie parzialmente immaginarie, gli occhi si aprono e la testa comincia a girare…

E ora rilassamento post coito.

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Some more pix by Gilly & Drex

 

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