Musica: una breve introduzione di Nicholas Cook - EDT, 2005 - 182 pag., 10€

Un breve saggio sulla musica moderna, con l'intento di darne una visione il più possibilmente allargata ma di fatto girando attorno alla cosiddetta musica colta, con qualche citazione “popular” tra cui Chemical Brothers. Forse non è neppure importante uscire dall'ambito accademico. Cook centra il proprio bersaglio nel presentare una critica dell'approccio alla musica moderna, ancora vincolato a schemi e atteggiamenti che ci trasciniamo dentro per tradizione ma, in modo anche più subdolo, come abitudini di pensiero. Un saggio “…sul modo di pensare la musica, sulla musica e sulle strutture sociali e politiche che condizionano il pensiero sulla musica”.

Cook osserva quanto le barriere tra generi vadano lentamente sgretolandosi, lo sente tanto da dedicarci un libro, sebbene sia un mini saggio con le sue 158 pagine effettive. Barriere a doppio senso, non solo il presunto disprezzo della musica dozzinale dall'alto dello scranno accademico; altrettanto pregiudiziale è il mancato riconoscimento del debito culturale che la pop culture deve alla tradizione classica. Ma la tradizione stessa è una costruzione mentale, trattandosi della riproposizione di uno schema consolidato, mediante il quale si mantiene pressoché inalterato il modo stesso di pensare la musica. “I valori confezionati in questa idea di autenticità sono lì perché è il nostro modo di pensare la musica che li mette lì, quindi il modo di pensare la musica influenza il modo con cui la si fa. Questa continuità nel pensare le cose genera “la tradizione”, nella musica e in ogni altro campo”.

Il mito dell'autenticità è ciò che può condizionare l'ascolto, una scala di valori che vede il compositore in posizione privilegiata rispetto all'esecutore. “…L'attività del comporre, eseguire e fruire è per forza di cose cronologica ma ciò che comincia come priorità cronologica finisce per trasformarsi in una gerarchia di valori e come tale vediamo la musica”.

Un parassita quindi questo mito, autentico e originale sono una metastasi, un tumore maligno per la cultura allargata; Cook smonta pezzo per pezzo un pensiero elitario a compartimenti stagni; altrove questo male viene colpito dalla critica al concetto di diritto d'autore tradizionalmente inteso.

Per confermare la dipendenza culturale del modo con cui ascoltiamo e percepiamo la musica, Cook sostiene che anche la prevalenza numerica dei musicologi storici sugli etnomusicologi determina una concezione pilotata dai rapporti di forza in gioco. Prendendo a bersaglio la tradizione ed i modelli predigeriti cita la teoria critica di Adorno, poi restituisce dignità anche alla figura femminile, esclusa dalla storia musicale a causa di un modello dominante, in questo caso maschile, che ha relegato le donne in un cantuccio delle residenze di ricche famiglie, suonando il pianoforte a fini di intrattenimento.

Ed ancora analizza la musica da un punto di vista “sessuale”. Ma la “virilità” insita nella musica non è che un altro elemento culturale, attribuitogli da una tradizione ad ampia componente maschile, soprattutto nel pensiero che ne ha modellato gli schemi.

La musica può invece essere un ponte tra culture, un elemento importante per la costruzione delle nostre identità, non qualcosa collocato distante di cui la natura ne è la sorgente; è forma d'espressione che permette di rappresentarci da un lato, attrarci dall'altro, avendo anche una funzione simile al linguaggio in grado di superare barriere che, per il linguaggio vero e proprio o persino altre forme culturali, gli uomini sembrano incapaci di varcare.

Una risposta alla venuta meno dell'ampio pubblico nella musica contemporanea risiede anche nella costruzione di questo mausoleo mummificato nella tonalità; la complessità del suono novecentesco vede l'allontanarsi di una parte considerevole del pubblico, sia per l'avanzare della cultura popolare che meglio rispecchia i metodi della produzione moderna sia per la fissità degli schemi di ascolto e celebrazione; se la ricerca musicale porta ad una maggiore complessità il pubblico risponde meno a queste sollecitazioni, maturando con un tempo rallentato un'educazione all'ascolto, anche conseguenza dell'atteggiamento dell'industria discografica con formule e proposte che tendono alla riproposizione dell'esistente, salvo quando la diversità non sia fonte di nuovo guadagno.

Un libretto da leggere con attenzione, definirlo scomodo sarebbe troppo perché il rifiuto di modelli consolidati ha ormai da tempo preso piede; avendo considerato in misura maggiore la musica “colta” e non “tutta la musica” come dichiarato in apertura, ci auguriamo che riprenda il filo del discorso critico e riparta in altre direzioni, per valutare cambiamenti in atto nell'ascolto in questo primo scorcio di millennio.

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