...continua capitolo quarto

4.6 FESTA O RITO?

Utilizzando l'approccio di Turner, si può dire che ci troviamo di fronte a un fenomeno liminoide nel senso che questi riti, pur avendo un forte riferimento a un contesto collettivo, aprono molte possibilità di espressione e di creazione individuale. Per l'autore le fasi liminali appartengono ai contesti delle società semplici, sono caratterizzate da una maggiore aderenza e fedeltà alla tradizione, mentre i fenomeni liminoidi tendono ad essere idiosincratici, discontinui, riconoscibili e riconosciuti entro cerchie sociali definite (Turner,1986).

I raves si collocano soprattutto nell'ambito delle attività di svago e, a differenza dei fenomeni liminali, non si limitano a invertire , ma tendono a sovvertire l'ordine simbolico e le norme sociali, tramite la satira, l'ironia, il travestimento iconoclasta o mediante vere e proprie azioni di pirateria e di guerriglia dei segni.

Nell'ambito dei riti notturni dei rave e del ballo il discorso procede attraverso una sintassi di incontri, di sguardi, di sfioramenti empatici che permettono una rapida alternanza di momenti di fusione e momenti di autoindividuazione, di giochi di appartenenza al cerimoniale collettivo e di performance individualizzate.

All'interno di definite cornici spaziali e temporali i giovani agiscono componenti di identità reali e virtuali e sono nel contempo protagonisti di un evento e attori di un rito. La centralità della sfera del loisir nei nuovi riti di passaggio tra mondi di vita ordinaria e mondi di vita parallela si associa ai significati della festa nella società contemporanea. Secondo Maffesoli la perturbazione dionisiaca, l'inversione esprimono il conflitto dei valori sempre presente nel corpo sociale e nel contempo lo ritualizzano dandogli una forma accettabile e 'passabile'.

"La festa è, in qualche modo, il conflitto di passioni vissuto in maniera omeopatica" (Maffesoli, 1990, pag.157).

L'aspetto interessante della riflessione del sociologo francese riguarda il superamento dell'iconografia tradizionale di contrapposizione tra l'armonia apollinea e l'effervescenza dionisiaca per mettere in luce la funzione che i riti e le forme del 'disordine' di Dioniso rivestono nella società attuale come elementi vivificanti e innovatori della socialità, nuovi collanti dei legami sociali dopo il tramonto delle apparenze connesse al lavoro, alla classe sociale o all'ideologia.

A questo potremmo aggiungere che il ludus , la festa hanno sempre, al tempo stesso, invertito e confermato i valori dominanti dell'ordine sociale esistente: in tutte le diverse epoche storiche, le maschere, il carnevale, i trattenimenti del ballo hanno delimitato i confini di una trasgressione vissuta e agita soltanto sul piano simbolico. Il disordine della festa ha assolto funzioni di assorbimento e di decantazione delle tensioni derivanti dal lavoro, dalla vita sociale, dall'ambiente familiare che venivano così "prese in cura" in modo omeopatico. E da sempre, i mondi del ballo hanno subito censure e condanne perché accoglievano i linguaggi liberi dell'incontro e dell'eros, i movimenti dei corpi intrecciati ai ritmi della musica, le attese di emozioni e di ebbrezze al di fuori delle routine di tutti i giorni. Ma l'etichettatura sociale ha sancito anche, per opposto, il fascino e il richiamo attrattivo dei luoghi del ballo: la dove imperava il divieto, più forte si alimentava il desiderio di vivere momenti di liminarità rispetto alla vita ordinaria.

Una liminarità sospesa tra i rituali di festa e la dimensione del gioco. Nel suo celebre saggio Homo Ludens , Johan Huizinga definisce il gioco come "un'azione libera, conscia di non essere presa sul serio e situata al di fuori della vita consueta", orientata a far nascere rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo solito. Anche Roger Caillois (1995) sottolinea l'affinità esistente tra il gioco e il mistero e mette in luce i caratteri di imprevedibilità, normatività e improduttività dell'esperienza ludica elaborando un articolato schema di classificazione. I giochi vengono suddivisi in quattro categorie: agon, giochi di competizione come quelli sportivi; a lea, giochi in cui si deve combattere non tanto contro l'avversario quanto contro il destino, come il gioco dei dadi; mimicry (mimetismo, dal greco mimos , attore o imitatore), ossia le attività collegate al gusto del travestimento e della maschera nel cui ambito il soggetto gioca a credere, a far credere di essere un altro, come avviene durante il carnevale. L'ultimo gruppo di giochi infine appartiene alla sfera dell' ilinx ed è rivolto alla ricerca di uno stato di vertigine, entrando in una sorta di trance o smarrimento. Caillois cita fra gli esempi la danza vorticosa dei dervisci che, con un costante moto rotatorio simulando il movimento dei pianeti, raggiungono l'estasi della danza.

Per le ricercatrici francesi Astrid Fontaine e Caroline Fontana (1997) la trance nei raves poggia sulla ricerca della vertigine, nell'accezione dell'ilinx di Caillois, in quanto la vera festa -intesa come festa totale- senza limiti si compone di tre momenti essenziali: il gioco, la rottura col quotidiano e la trascendenza. Bisogna tuttavia precisare che, se consideriamo i riti del ballo nel loro insieme, essi si collocano in una dimensione di festa semplice su un crinale tra mimicry e ilinx, anzi la maggior parte delle attività danzanti che si svolgono nei seimila locali italiani sfiora al più la modalità del travestimento. L'ilinx contrassegna fenomeni di particolare intensità che si ritrovano soprattutto nei contesti della musica techno, nei raves . Sono rari quelli che, come George Bataille (1992) e Roger Caillois (1995), hanno visto che la "consumazione", la vertigine, l'eccesso sollecitano un posto centrale nella scienza dell'uomo. Sono rari quelli che hanno riflettuto sul carattere sismico del godimento umano. Pertanto, non si saprebbe concepire un'antropologia fondamentale che non comprendesse la festa, la danza, il riso, le convulsioni, le lacrime, il godimento, l'ebrezza e l'estasi.

Sulla base di un'ampia letteratura antropologica, si può definire la 'trance' come stato modificato di coscienza (SMC) culturalmente elaborato. Per stati modificati di coscienza si intendono diversi tipi di esperienze nel corso delle quali "il soggetto", scrive Georges Lapassade:

"ha l'impressione di un certo sgretolamento del funzionamento abituale della sua coscienza e di vivere un altro rapporto con il mondo, con se stesso, con il suo corpo, con la sua identità" (Lapassade, 1993, pag.21).

Vi possono essere modificazioni spontanee o modificazioni indotte, con diversi dispositivi induttori e differenti effetti verificabili. Rouget mette in evidenza come spesso il termine 'trance' venga erroneamente utilizzato come sinonimo di 'estasi' mentre i vocaboli connotano due fenomeni distinti: la trance è sempre legata a una sovrastimolazione sensoriale più o meno accentuata - rumori musica, odori, agitazione - l'estasi, viceversa, è legata per lo più a una privazione sensoriale - silenzio, digiuno, oscurità (Rouget, 1986, pag.22). All'interno delle culture metropolitane e nei luoghi e nei tempi delle esperienze dei ravers possiamo trovare entrambe le dimensioni.

Nel nostro universo iper - tecnologico la dimensione religiosa e la dimensione rituale dell'esperienza sociale non si sono infatti attenuate ma si sostanziano in forme di vita culturale e di aggregazione sociale diverse da quelle del passato. Si è realizzato un processo di contaminazione cognitiva e l'avanzare della modernità ha registrato movimenti di secolarizzazione e movimenti di rivitalizzazione religiosa, l'accentuazione del 'disincanto del mondo' e, parimenti, l'affermazione di nuove dimensioni del sacro. In relazione alle credenze e ai rituali del tempo attuale, Alessandro Dal lago pone in rilievo la funzione che le religioni vissute - intese come "costellazioni di simboli naturali e sociali"(Dal Lago, 1995, pag.8) - esercitano nel dar senso alla nostra vita, alle nostre routine quotidiane.

In una prospettiva storica il rito va posto in relazione con la religione, con le tecniche di accostamento al sacro; mediante il rito gli eventi, le figure, i miti della tradizione sono resi attuali e significativi per i credenti. Il rito svolge un ruolo fondamentale all'interno del discorso religioso, rafforzando il consenso sui valori che esso esprime e rivitalizzando le motivazioni alla partecipazione. Il riferimento alla religione si colloca tuttavia nella dimensione più ampia della sfera del sacro: secondo Emile Durkheim (1963), ogni gruppo sociale tende infatti a consacrare, su un piano di assolutezza, i valori cui affida la legittimazione della propria esistenza e dove confluiscono i differenti elementi razionali e irrazionali dei propri modelli culturali.

Nella società contemporanea quindi il rito può essere sacro, ludico, o artistico ma la sua dimensione rituale non è differente da quella delle culture più remote in quanto, alla base di questi cerimoniali, c'è un preciso impulso, un'urgenza analoga a quella che troviamo alla base di rituali magici, religiosi, esoterici. e R. Caillois non si lascia sfuggire che:

"La festa è tenuta per il regno stesso del sacro", (1988, pag.32).

Ci avviciniamo quindi alla centralità sotterranea di cui parla Maffesoli (1991, pag.57), alla base dionisiaca del mondo di cui parla Nietzsche (1975, pag.130), questo istituente che attraversa tutte le istituzioni sociali, questo slancio che mobilita, questa energia che brulica, questa emozione che riunisce, che ho scelto di chiamare turbolenza suprema, che è come il soffio della vita sociale, e sembra anche che sia precisamente ciò che si trova convocato attraverso il rituale collettivo del rave.

La parola festa e a fortiori la parola rave non sono dei concetti sociologici, il loro fluttuamento semantico genera già una certa confusione propriamente festiva; la stessa parola designa anche la data, il rituale organizzante l'effervescenza, e l'effervescenza generata dal rituale, o, per dirla alla maniera di Durkheim (1963), la regola della festa e il tumulto della festa. Si tratta di considerare l'articolazione tra il dispositivo rituale e l'effervescenza collettiva, in cui il rituale festivo del rave è un rituale paradossale, perché esso è il rituale che tende asintoticamente a distoglierci dai riti. In effetti, la festa è questo rito particolare che mira a deritualizzare, la festa è questa istituzione particolare che aspira a de-istituzionalizzare il sociale per provocare l'effervescenza, la turbolenza.

La sovranità della turbolenza sta nel fatto che essa oltrepassa tutte le determinazioni, essa è una indeterminazione primordiale svelata nella e dalla festa. La sottilità della festa è il fatto di apparire solamente "come un gioco con ebbrezza, e non come un tuffo totale nell'ebbrezza"(Nietzsche, 1975, pag.61), altrimenti detto, giocarsi del caos, ingannare il caos giocando con esso. L'interpretazione non delirante, di questa turbolenza sovrana, ovunque e da nessuna parte, è la posta in gioco che straripa dal quadro della stretta sociografia dei raves. Ovunque e in nessun luogo, la musica sociale è disturbata da questo rumore di fondo. Ovunque, perché la società non si può affrancare in modo duraturo dall'effervescenza collettiva, la quale è il fermento di tutte le comunità, e regolarmente, ritualmente, essa deve essere convocata, riconvocata, per ripetere l'anamnesi dell'istituente (Maffesoli, 1990). Essa non è il fondamento, ma il fondo di tutte le costruzioni sociali. Da nessuna parte, perché essa è una forza di vitalità sociale, che attraversa tutte le istituzioni senza mai fissarsi da nessuna parte, principio indeterminato ed imprevedibile del quale si possono provare solo gli effetti.

Il rituale festivo del rave, ha per doppia vocazione di suscitare la turbolenza sovrana e di contenerla, nel senso di racchiudere e di rinchiudere. Di apparire per meglio nascondersi. A questa difficoltà dovuta alla polisemia del vocabolario, si aggiunge il fatto che il terreno esiste solo nell'istante del rave e svanisce quando il rave è finito. Si ha un'evanescenza del terreno propria alla sociologia del rave.

All'interno delle culture giovanili, i termini tribù e tribalismo appaiono molto ricorrenti nel campo della musica come dell'arte. Lo sviluppo delle tendenze di cross-over hanno indotto molteplici forme di contagio tra musica e tecnologia dell'occidente e suoni e ritmi di culture antiche. Con "tribale" si vogliono mettere in rilievo le particolare atmosfere emozionali e di aggregazione che tale musica suscita. La connotazione di tribalità viene al contempo utilizzata per connettere e distinguere , per creare un legame sociale di unione fra coloro che producono e coloro che ascoltano un certo tipo di musica e per porre una linea di demarcazione e d i differenziazione rispetto all'esterno, nei confronti dell'anonimo che facilmente si immerge nel mainstream delle offerte del mercato discografico.

L'interesse e l'attitudine identificatoria verso la tribalità invadono molti contesti di comunicazione e di produzione delle culture giovanili: dagli Hacker ai writers del no copyright, dai graffitari al cyberpunk.

Molte forme di commistione e di ibridazione si stanno sviluppando tra antichi miti e nuovi riti, tra tipi cosiddetti "primitivi" di società umane e inediti comportamenti di navigazione in rete sulle autostrade informatiche. Secondo Massimo Canevacci, il sincretismo diventa la parola chiave per comprendere le trasformazioni in atto nella realtà sociale. Natura e tecnica, segno e fisicità: nuovi sincretismi culturali tra rituali tribali e neocyberetnie. Attraverso la tecnologia, quella che ci appartiene è una temporaneità mischiata, dominata dal meticciaggio dei linguaggi, dai contagi psichici, emotivi, di sfioramento delle menti e dei corpi (Canevacci, 1995, pag.18).

La liturgia del rave party, un rito lunare, insegue i diversi gradi di ascensione attraverso la notte, in certi casi il DJ può identificarsi con il cavallo, la divinità che fugge, così come nei riti estatici degli sciamani. Molto importanti sono le basi ritmiche che accompagnano gli eventi e anche la potenza dei megawatt, che coinvolge direttamente il corpo, creando una partecipazione che molti non raggiungono nemmeno durante l'atto sessuale.

Leonardo Montecchi collega le esperienze di trance dei raves al fenomeno della transe metropolitana non ritualizzata : desiderio di uscita dalla coscienza ordinaria intesa anche come morale dominante (Montecchi, 1996). Vi sono poi i dispositivi delle sostanze che possono diversamente influenzare la pratica del 'viaggio'. Per Terence McKenna (1995) le droghe sono come un vestito, la società si veste di una droga così come una persona può indossare un certo tipo di abbigliamento, l'abbigliamento della cultura dell'alcool è, per esempio, molto differente dall'abbigliamento della cultura della cannabis. Nelle feste techno attraverso l'artificio dell'ecstasy e della naturalità della danza si giunge alla:

"celebrazione di un nirvana estatico e transumante, un nirvana cyber che sceglie la macchina per recuperare la spontaneità. O il miraggio di essa"(McKenna, 1995).

Le culture e i modi di fruizione dell'ecstasy sono da tempo oggetto di analisi e riflessione. Per E. "Gomma" Guarneri l'ecstasy ha in parte funzionato da additivo per tenere il ritmo della musica techno ma, isolatamente, la sostanza non può essere considerata come causa scatenante o come catalizzatore di una cultura (Introduzione in Saunders, 1995, pag.10). Secondo Bruno Pochettino, redattore della rivista "Altrove", la magia dell'effetto comunitario, prodotta dalla sostanza empatogena, è debole e occasionale; la morbida sicurezza dell'ecstasy si traduce nella caducità dei risultati, nella limitatezza del raggio d'azione e infine cela, complice la forzata ignoranza, i rischi (Pochettino, 1996, pag.127). Come spiega Nicholas Saunders, l'MDMA (Metilendiossimetamfetamina) è stata brevettata nel 1913 - la leggenda vuole come pillola dimagrante - dalla compagnia tedesca Merk ed è ricomparsa nel 1953 per usi militari nell'esercito americano; dopo alcuni anni di sperimentazioni da parte di psicoterapeuti, nel 1985 viene messa al bando negli stati uniti (Saunders, 1995). La criminalizzazione dell'MDMA in America ha avuto enormi conseguenze, in primo luogo quella di impedire a terapeuti professionali di utilizzare la sostanza (divieto imposto in tutti i paesi occidentali tranne in Svizzera); la seconda quella di ridurre la qualità della droga venduta per strada, poiché alla domanda venivano adesso incontro i laboratori clandestini e la sostanza veniva distribuita attraverso la rete criminale ( Ivi , pag.32). I giovani non si sentono drogati perché in fondo la "cultura della pastiglia" è molto diffusa anche tra gli adulti, come conferma l'alto consumo di psicofarmaci. Si prende la pastiglia per imitare gli altri, per vincere la timidezza ma soprattutto per comunicare al di fuori dei codici imposti nella vita ordinaria, alla ricerca della vicinanza che la realtà sociale sembra negare nella quotidianità. In realtà il rave è un rito che la morale comune e la cultura di massa non vuole riconoscere e vuole svuotare dei suoi contenuti proprio per far si che la festa venga vista soltanto come un raduno di drogati. Come ho già indicato in precedenza ai ravers la visibilità non interessa, anzi la rifuggono perché è considerata una trappola e un rischio di massificazione, e chi denigra i raves solo come riunione di drogati non capirebbe neanche guardando quello che succede: un momento di grande energia, di comunione, un modo veramente diverso di comunicare.

Siamo entrati in un cosmo che unisce ignoranza e cultura, yoga e tecnologia, zen e BPM, autogrill e vitamine, espansione della mente e scarpe a zeppa, colori fluorescenti e nude look, omo-etero-trans sessualità e aromaterapia, in una miscela spontaneamente coerente. Siamo entrati nella mente patchwork di una global patchwork generation , vestita in modo patchwork, che ascolta musica patchwork in una società inconsapevolmente patchwork. E' una generazione che più che integrare - assembla componenti di identità, spazi di appartenenza, modelli di valore, pratiche sociali in un'opera incessante di cut-up esistenziale, in analogia con l'immagine del patchwork che rappresenta il simbolo della cultura postmoderna. Se vogliamo considerare il fenomeno come sottoculturale dovremo scomodare Guy Debord (1988), affermando che le regole dello spettacolo hanno invaso anche il naturale bisogno dell'uomo e soprattutto di quello giovane, di trasgredire e rivoluzionare, ma non è per nulla scontato il fatto che le attitudini di elaborazione creativa, estrinsecate nelle pratiche ludiche, non possano dar luogo a nuove forme di socialità e a nuovi codici di comunicazione. Non esistono mode nelle sottoculture: i tratti di queste ultime diventano moda quando appunto si investe su di loro, quando c'è l'intervento attivo da parte dell'industria che trasforma in simulacro i tratti distintivi dello stile sotto-culturale. Negli ultimi decenni si è accelerato il ritmo del travaso tra circuiti alternativi e circuiti commerciali ed è cambiato il rapporto tra linguaggi giovanili, subculture e mercato: la sensazione è che i passaggi si siano pazzescamente accorciati. Linguaggi anche piuttosto radicali entrano direttamente nel mercato. Ne sono esempio eloquente fenomeni come l'hip-hop e il grunge. Le origini di questo fatto possono essere due: da una parte l'esigenza ossessiva da parte del mercato della comunicazione di fagocitare fenomeni e stimoli sempre nuovi; dall'altra, l'affermazione di ceti imprenditoriali e professionali colti e intellettualmente curiosi, in grado di cogliere i segni dell'innovazione. Le conseguenze una sola: rave, illegalità, underground, nascondersi alla massa che tutto distrugge.

E' quindi difficile fermare il tempo della linea di demarcazione tra underground e overground all'interno di immersioni sempre più rapide nei movimenti sotterranei e di emersioni fuggevoli sugli schemi della visibilità mediatica: talvolta è solo la spettacolarizzazione dello stile a rivestire di ribellione pratiche che invece si orientano verso il mercato. Questo rientra d'altronde in una ritualizzazione e neutralizzazione dei fenomeni 'trasgressivi' che di volta in volta si affacciano alla ribalta. La trasgressione è istituzionalizzata in quanto confinata in spazi ben precisi e riconoscibili deputati alla sua espressione, come appunto quelli delle discoteche. Il concetto di trasgressione diventato da trenta-quaranta anni sinonimo di tendenza alternativa, viene applicato in misura fine a se stessa, con il solo obiettivo di stupire e con l'illusione che ciò possa diversificare un prodotto da un altro. Ciononostante, lo sviluppo della comunicazione sociale vive tra i luoghi dell'ordine e i luoghi del disordine: a produrre questa opposizione spaziale sono appunto i soggetti che la creano nel processo di identificazione di se stessi, nel perimetrare i confini e le mappe del loro abitare, ma se sono i soggetti a conferire il senso agli spazi e alle esperienze, pur nella costante oscillazione dell'ambivalenza, la stessa geografia dei luoghi e dei controluoghi può essere assunta come una trama indiziaria e mutante delle coreografie di incontro tra l'io e gli altri, tra l'individuo e la società.

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