CAPITOLO 1: CULTURE DI RESISTENZA

1.1. Do it yourself

Oggetto di questo scritto è lo studio del movimento che risponde a quella che è stata da esso stessa definita come "cultura DiY". Per cercare di comprendere i molti significati che si celano dietro questa sigla è meglio partire dal suo significato più stretto. "DiY", in origine abbreviato D.I.Y., significa do it yourself frase, o per meglio dire slogan, inglese che si potrebbe in primo luogo tradurre rozzamente come "fallo da te". In realtà in Italia si usano due termini che rendono molto più efficacemente l'idea di quello che questo slogan vuole esprimere: "autoproduzione" e, per estensione, "autogestione".

1.1.1. Autoproduzione e autogestione

In questa presentazione del movimento partiremo proprio da questi due concetti. Ruolo chiave per la cultura del DiY è l'autoproduzione di tutti i propri supporti culturali e informativi che sono principalmente dischi, libri e fanzines . Le fanzines sono giornali autoprodotti da persone che cercano di dare una mano alla propria scena intervistando gruppi, recensendo materiale autoprodotto e soprattutto diffondendo le proprie opinioni su argomenti di stampo politico e sociale. Le fanzines sono fondamentali per la sopravvivenza del DiY, in quanto esso non trova spazio sulle pubblicazioni ufficiali. Esistono migliaia di fanzines , estremamente diverse fra loro sia per quello che riguarda i contenuti e il formato (accanto ad una maggioranza di "fanze" fotocopiate e distribuite in poche centinaia di copie, ne esistono anche alcune stampate in tipografia, con tirature che sorpassano le migliaia di copie, che in alcuni casi diventano dei veri e propri punti di riferimento), sia per longevità.

L'autoproduzione è un concetto che è stato introdotto nei primissimi anni Ottanta da uno storico gruppo musicale anarchico e pacifista: i Crass . Provenienti da esperienze di stampo post hippie (alcuni membri del loro collettivo parteciparono all'organizzazione dei primi festival di Stonehenge), i Crass ebbero un effetto dirompente sulla scena punk di quel periodo, tanto che tuttora vengono ritenuti il più importante gruppo DiY punk mai esistito.  È bene infatti sottolineare subito come spesso ci si dovrà misurare con termini che hanno più significati e che possono creare confusione in quanto ampiamente metabolizzati dall'opinione pubblica. In questo caso, per esempio, quando si parla di punk l'immagine comune è quella di giovani scapestrati dall'attitudine marcatamente nichilista, autolesionista e teppista. Questo era più o meno il quadro col quale si confrontarono i Crass nei primissimi Ottanta. Tale è comunque l'immagine che tutt'oggi sopravvive negli ambienti estranei al DiY, ed è proprio per evitare una simile confusione di termini che, in maniera sempre più evidente negli ultimi anni, il termine DiY si sta facendo strada. Tornando all'esperienza "crassiana", che verrà analizzata analiticamente nel prossimo paragrafo, essi ebbero il merito di introdurre la pratica dell'autoproduzione in reazione all'industria discografica che, allora come oggi, cercava di influenzare a scopo commerciale la musica e le idee degli artisti sotto contratto. 

I Crass fondarono una propria etichetta musicale autogestita, la Crass Records , e cominciarono a diffondere i propri prodotti culturali (oltre a dischi stamparono anche libri) a prezzi molto vicini alle spese di produzione. Ciò permise la diffusione di un altro concetto molto importante nel DiY: il No Profit . Tutti i materiali culturali autoprodotti vengono venduti a prezzi estremamente bassi, che garantiscono comunque un piccolo profitto che viene reinvestito nella propria attività: "un esempio potrebbe spiegarti meglio come funziona: stampare un CD in mille copie mi costa sulle 5000 lire a CD comprensivo di copertina a colori eccetera. Tieni presente che io mi appoggio a strutture esterne per tutto quel che riguarda la stampa e le altre operazioni che mi servono. Una major queste strutture le ha in casa, quindi non mi stupirei affatto se una copia le costasse al massimo 2000 lire o meno (.) Ma il vero scandalo sta nel prezzo. Io rivendo a 12000 o massimo 15000 (ed è già tanto.) i dischi che autoproduco, mi spieghi perché le major vendono i loro dischi, costati la metà dei miei, a 40000 lire? ". 

Ma l'autoproduzione non è solo un modo per livellare i prezzi di vendita ma, soprattutto, è il modo più efficace per mantenere la propria indipendenza dalle pressioni che le case discografiche fanno sugli artisti al fine di commercializzare la propria musica per poter avere un prodotto più vendibile. Principalmente la vera differenza si gioca proprio qui: per una grossa casa discografica il disco è un "prodotto", una merce su cui investire. Per l'artista è invece un mezzo per comunicare agli altri il frutto della propria creatività che, in quanto manifestazione di libera espressione, non accetta di essere manipolata. Ma oltre che artistico, lo sfruttamento dell'artista da parte della major (grossa etichetta discografica) avviene anche in campo economico. L'aspetto è ben messo in evidenza da un comunicato fatto circolare da Courtney Love, cantante chitarrista (nonché attrice) del gruppo rock alternativo Hole sotto contratto per la major Geffen . "Le case discografiche hanno una percentuale di successo bassissima, il 3%. (.) come fanno le case discografiche a cavarsela con una percentuale di fallimento pari al 97% - una percentuale che sarebbe completamente inaccettabile in qualsiasi altra industria? Le case discografiche si tengono quasi tutti i profitti. Gli artisti discografici vengono pagati soltanto una minima frazione dei soldi generati dalla loro musica (generalmente solo il 7% dei profitti nel caso di artisti affermati, per esempio i Litfiba , storico gruppo rock italiano. Max Gazzé, cantautore affermato, ha dichiarato di guadagnare solo duemila lire a CD venduto. NdA). Questo permette ai manager delle case discografiche di essere molto approssimativi nei modi in cui dirigono le loro aziende pur consentendo loro la possibilità di produrre una quantità enorme di capitali per le multinazionali alle quali appartengono. Le percentuali di diritti ( royalties ) che le case discografiche garantiscono agli artisti sono già bassissime alla radice. Su questo le case discografiche sottraggono anche il minimo costo dal totale dovuto agli artisti. A questi infatti vengono addebitati i costi di registrazione, i costi di produzione dei video, i tour, le promozioni radiofoniche, i costi di vendita e marketing, i costi di packaging e molte altre cose. Le case discografiche spesso riescono ad abbassare i diritti dovuti ai loro artisti "dimenticandosi" di notificare le vendite, "sbagliando" il calcolo delle royalties e naturalmente impedendo agli artisti accesso ai libri contabili dell'azienda. (.) Migliaia di artisti discografici che hanno venduto centinaia di milioni di dischi durante la propria carriera generando miliardi di dollari in profitti per le loro case discografiche si trovano sul lastrico e dimenticati dalla stessa industria che hanno reso ricca."  A completare il già sconfortante panorama vengono aggiunti alcuni esempi: "Artisti multi-platino come TLC e Toni Braxton sono state costrette a dichiarare fallimento perché i loro contratti non gli permettevano di guadagnare abbastanza per sopravvivere" /// "Florence Ballard delle Supremes (che piazzarono molte hits al primo posto delle hit parade) è morta percependo il sussidio minimo di disoccupazione. /// "Accordi corrotti hanno costretto gli eredi di Jimi Hendrix a fare lavori umili mentre il suo catalogo generava milioni di dollari all'anno per la Universal Music ." /// "I Collective Soul non hanno guadagnato praticamente niente da Shine , uno dei più grandi successi di rock alternativo durante gli anni '90, visto che la Atlantic ha pagato quasi tutte le loro royalties a una casa di produzione esterna." /// "Merle Haggard ha avuto una serie di 37 singoli nella top-ten country durante gli anni '60 e '70. Non ha mai visto un dollaro fino all'anno scorso (2000), quando ha pubblicato un album sull'etichetta indipendente di punk-rock , Epitaph ."-- 

Il desiderio di indipendenza dal mercato discografico non si ferma alla semplice produzione dei propri materiali culturali. Dagli anni '80 in poi il DiY si è strutturato in una rete sempre più fitta di piccole e grandi distribuzioni di materiale autoprodotto che hanno il merito di diffondere localmente materiali altrimenti introvabili.  Quando i Crass cominciarono ad autoprodurre i propri dischi, dovettero comunque appoggiarsi alla rete di negozi specializzati e non. Da questa necessità nacque l'abitudine di pubblicare il prezzo imposto in copertina, pratica che si impose su tutte le autoproduzioni del collettivo e venne successivamente adottata da tutte quelle persone che ne seguirono l'esempio. Oggi il DiY si è strutturato attorno ad una vitalissima rete di distribuzioni che hanno totalmente eliminato il circuito "ufficiale" dei negozi e dei grossi distributori dove spesso, nonostante il prezzo imposto, non sarebbe possibile effettuare un efficace controllo. Può essere utile analizzare più a fondo come funziona l'autoproduzione al fine di rilevare come fiducia, onestà e cooperazione siano parte importante del sistema che regola il circuito autogestito.  Le piccole distribuzioni generalmente iniziano con un'autoproduzione o una coproduzione che consiste nello sforzo congiunto di più piccole etichette che partecipano alla produzione dello stesso disco spartendosi alla fine le copie prodotte (in media un disco autoprodotto viene stampato in mille copie, a meno che non si tratti di un gruppo piuttosto noto). Una volta ottenute le proprie copie, l'autoproduttore prende contatti con altre etichette DiY sparse nel mondo. Propone uno scambio e, se viene accettato, invia per posta le sue copie e attende in cambio le copie dell'altra etichetta. I contatti si possono reperire nelle fanzines leggendo annunci, recensioni o interviste. Oppure visitando qualche sito internet o passando in rassegna i flyers (volantini) che in genere accompagnano le lettere o i pacchetti postali che si ricevono. Una volta ottenuto una certa quantità di dischi differenti, il piccolo distributore può improvvisare banchetti ai concerti, creare cataloghi, costruire un sito e via dicendo.  I prezzi per tutte le distribuzioni / etichette si aggirano da anni attorno ad un certo standard tanto che negli ultimi anni molti gruppi non ritengono più necessario mettere il prezzo imposto, dato che è lo stesso circuito DiY a garantire prezzi bassi e accessibili. In questo contesto si inserisce anche la critica al copyright e ai diritti d'autore. Tesi base del DiY è che la cultura, l'arte e l'informazione dovrebbero essere libere da vincoli e da interessi commerciali. Il copyright nasce per preservare il diritto di proprietà sulle opere dell'ingegno dei singoli artisti. Ma tale diritto, in realtà, esiste per poterne rivendicare l'esclusività dello sfruttamento commerciale ben in contrasto con qualsiasi finalità artistica. In reazione a tutto ciò la totalità delle produzioni DiY sottolineano fieramente la loro estraneità a tutto questo, non solo riportando la scritta No copyright su dischi, libri e via dicendo ma anche invitando chiunque a usare, riutilizzare ed abusare del proprio materiale incoraggiando lo scambio e l'evoluzione contro la competizione e lo sfruttamento.

Un comunicato di critica alla S.I.A.E. (Società Italiana Autori Editori) emesso dal Barocchio Occupato , squat torinese, fornisce una efficace critica al copyright ed al suo ruolo nello sfruttamento commerciale delle opere dell'ingegno. "La S.I.A.E. è un'istituzione parassita istituita dallo Stato italiano nel ventennio fascista. Nasce dall'idea che la libera espressione si possa trasformare in merce da comprare e da vendere. Da qui la pia e impiegatizia illusione di molti autori di poter vivere con le gabelle imposte dalla SIAE ovunque si oda qualche nota o si sfogli un libro. In realtà i privilegiati sono pochi e, come si può facilmente intuire, i soliti trust editoriali e discografici e i loro autori 'dipendenti' più famosi.  Tutti gli altri non vedono il becco di un quattrino o cifre irrisorie. In questo modo la SIAE si rivela per quello che è: un grosso carrozzone burocratico dedito all'estorsione capillare per foraggiare il redditizio business della cultura. Il sogno dei burocrati della SIAE è quello di poter controllare e salassare ogni più minuta forma creativa e reprimere ogni espressione che non si sottomette alle loro imposizioni. Per questo, dai balli al palchetto nei paesini più sperduti ai concerti negli spazi occupati, si infiltrano agenti più o meno segreti della Società Italiana Arraffa ed Estorci, compilando verbali, veramente impagabili, di decine di milioni. Il risultato è la repressione sistematica della libera espressione attraverso l'estorsione dell'ennesima tangente di Stato. Noi non vendiamo ciò che abbiamo di più intimo, lo regaliamo o preferiamo sprecarlo ."

1.1.2. Occupazione

Il desiderio di autonomia non si ferma alla semplice autoproduzione. Gli "eventi" inerenti alla cultura del DiY ruotano attorno a spazi "liberati" dove non trovano posto promoter, organismi governativi, poliziotti e qualsiasi altra forma di controllo sulle proprie attività. La cultura del DiY è strettamente legata a tali luoghi dove vengono organizzate le proprie attività, siano esse un concerto, un rave o una riunione / dibattito politico sociale. Tali spazi "liberati" si dividono in due grandi tipologie: permanenti e temporanei. Gli spazi liberati permanenti ( Permanent Autonomous Zone ) sono essenzialmente le case occupate, gli squats . Spesso usate come vere e proprie abitazioni dal collettivo che le ha occupati, esse rappresentano il teatro principale per gli eventi DiY in quanto garantiscono la condivisione della stessa visione politica, prezzo politico all'ingresso (quando c'è), ospitalità e via dicendo. Se i concerti e gli squats sono principalmente il teatro degli eventi punk crust , sarà merito dei t raveller , dei raver e degli attivisti che si ispirano all'azione diretta che prenderanno sempre più piede le Temporary Autonomous Zone (T.A.Z.) e cioè spazi, spesso capannoni abbandonati, boschi o parchi, occupati temporaneamente per poter organizzare feste e / o azioni politiche.

Tale distinzione risponde principalmente al fatto che i traveller e le tribe (i collettivi raver ) adottano uno stile di vita nomade spostandosi in grossi automezzi trasformati in abitazioni, mentre i punk crusties sono in generale più legati alle occupazioni. In realtà, lungi dall'essere due realtà distinte, esse si influenzano sempre più. L'organizzazione degli eventi DiY in ambienti ideologicamente affini risponde anche all'esigenza di instaurare relazioni vere con il posto e le persone che lo gestiscono e di non vedersi inseriti in un mero contesto commerciale del tipo: gruppo / organizzatore / pubblico. Tali barriere, così tipiche tanto nel circuito commerciale che in quello cosiddetto "alternativo", sono state abbattute con successo nel DiY. Tutti si danno da fare come possono, non esistono rock star o figure del genere (gruppi o atteggiamenti del genere verrebbero immediatamente boicottati ed esclusi). "Un concerto DiY è un'esperienza molto diversa da quella alla quale lo star system ci ha abituato. In un concerto DiY non c'è divisione fra pubblico e gruppo, spesso anche il palco viene eliminato (.) ti può capitare di stare a parlare per un po' con qualcuno che di lì a poco sale sul palco a suonare. Quando finisce scende e tornate a chiacchierare per un po' fino a quando, oh cavolo, tocca a te!"

L'organizzazione di concerti o feste è sempre fatta seguendo uno spirito amichevole e informale appoggiandosi alla fitta rete di contatti, postali o telematici, che anima il sottobosco underground DiY. Per capire meglio può essere utile riportare alcune delle richieste tipiche di un gruppo in tour tratte da una lettera del 1994 del gruppo punk crust belga Hiatus : "Gli HIATUS ( Punk/Crust band dal Belgio) stanno preparando un tour attraverso Italia, Grecia, Francia e Svizzera per aprile 1994. Ti scriviamo questa lettera per chiederti se potresti aiutarci ad organizzare una o più date nella tua città o nei dintorni. (segue una lista di parte della strumentazione che possono portare con loro e di quella che sarebbe utile trovare sul posto. NdA). Così sarebbe bello suonare con un gruppo locale che sia d'accordo a prestarci parte della strumentazione, in cambio possiamo prestare loro la nostra. Per quello che riguarda il cibo siamo 5 membri e tutti vegetariani. Se possibile, qualcosa da bere sarebbe molto gradito (birra e vino, aranciata e acqua). Ci piacerebbe anche avere una stanza dove dormire la notte dopo il concerto. Porteremo con noi i nostri sacchi a pelo. Per il pagamento spereremmo di ricevere circa 200 dollari ma se è troppo anche meno va bene. Altrimenti se viene tanta gente anche qualcosa in più non sarebbe male in modo da poterci pagare la benzina e il traghetto per la Grecia.". L'offrire una stanza per dormire, un prezzo che in realtà è un rimborso spese, cibo vegano e una gran dose di ospitalità sono diventate delle garanzie quando il concerto si svolge in uno squat , tanto che ormai sono date per scontate. Grazie al clima che si instaura il concerto smette di essere uno spettacolo fine a se stesso fruito in mezzo ad una massa di persone indifferenti le une alle altre. Esso diventa un momento di intensa socialità e comunicazione, parte integrante "(.) del prima, quando magari si mangia assieme o si va in giro col gruppo e ci si conosce meglio, e del dopo quando si fa baldoria e poi. tutti a nanna!"

1.1.3. DiY come pratica di liberazione

In questo contesto di rivendicazione della propria autonomia sia attraverso l'occupazione di aree cadute in disuso e la conseguente autogestione, sia attraverso l'autoproduzione e distribuzione delle proprie forme d'espressione, si inserisce una forte politicizzazione di stampo anarchico ed ecologista. I concetti ispiratori della cultura del DiY verranno analizzati in dettaglio nel corso dei prossimi paragrafi e del terzo capitolo. In questa sede li passeremo velocemente in rassegna per cercare di dare un'idea generale del pensiero politico del movimento. Centrale e molto sentita è la lotta alle discriminazioni sia che siano legate all'appartenenza a diverse culture o etnie sia che siano legate a differenze di gender e/o preferenze sessuali. Partendo da quest'ultimo concetto è ritenuta fondamentale la libertà di scelta unita alla possibilità, negata dai valori bigotti della nostra società, di poter amare liberamente anche persone del proprio sesso.  La lotta al sessismo viene portata avanti sia cercando di contrastare ignoranza e pregiudizi sia come profonda critica alla società patriarcale, causa essa stessa di violenze e discriminazioni. L'opposizione al razzismo permette di introdurre un altro concetto ad esso in parte correlato e di fondamentale importanza nel DiY: l'antifascismo. Essendo un movimento di ispirazione anarchica che rifiuta ogni tipo di gerarchia, il DiY osteggia tutte le forme di aggregazione a rappresentanza politica in particolar modo quelle totalitarie quali fascismo e comunismo. Ma se quest'ultimo viene "tollerato", probabilmente per parziale comunanza di obiettivi, l'antifascismo è un sentimento fortemente sentito. Nazionalismo, xenofobia, largo uso di violenza e forme repressive, nonché la sempre più evidente commistione tra la destra e gli interessi capitalistici fanno dei fascisti dei nemici di prim'ordine e slogan come bash the fash ("picchia il fascista" da una nota canzone del gruppo punk anarchico scozzese Oi Polloi), nazis raus (nazisti andatevene) o kill the nazi (uccidi il nazista) rendono piuttosto chiaramente l'odio nutrito nei loro confronti. Non è da dimenticare infatti come le sue frange più estreme, i tristemente noti naziskin , costituiscano un pericolo reale e quotidiano coi loro attacchi, alcuni purtroppo terminati con omicidi, a minoranze e case occupate. Il DiY è un movimento fortemente anticapitalista che si esprime principalmente nella lotta alle multinazionali e al consumismo. Le multinazionali vengono viste come principali sfruttatrici delle risorse dell'ecosistema siano esse naturali, animali o umane. Uno sfruttamento dissennato volto solo al conseguimento di enormi profitti al prezzo, nascosto all'opinione pubblica per mezzo anche dei mass media, di distruzione e sfruttamento.

Considerate le principali colpevoli della povertà del terzo mondo, con l'appoggio di governi occidentali e locali, le multinazionali reiterano colture di sfruttamento mutuate dal colonialismo che, in realtà, non è mai cessato ma ha semplicemente cambiato nome. La globalizzazione viene vissuta come il tentativo di agevolare ulteriormente questa logica di sfruttamento oltre all'allargamento dei mercati sui quali poter smerciare i propri prodotti ".in modo da conseguire altri enormi profitti sulle spalle di chi soffre, con l'approvazione di una massa ignara di telelobotomizzati" L'anarchismo del DiY nulla ha a che fare con un anarchismo che potremmo definire "teorico". In realtà non c'è neanche molta conoscenza dei principali testi anarchici. Ispirandosi a concetti quale l'azione diretta, le occupazioni e via dicendo il DiY rifiuta la mediazione politica per due principali ordini di motivi. Innanzitutto essa ha dimostrato sempre più di non possedere i mezzi per poter soddisfare le esigenze della popolazione che spesso sono connotate da un alto grado di urgenza. I partiti politici, in ritardo come sempre nell'analisi delle nuove tendenze sociali, non possono fornire soluzioni accettabili in quanto sempre troppo impegnati a cercare di districarsi tra lentezze burocratiche, "guerre" di voti e corruzione. Questa inefficienza politica ha aperto la via a molti giovani verso la ricerca di strade alternative. Il secondo ordine di motivi è più ideologico ed è connesso al rifiuto di ogni forma di gerarchia da parte del movimento, si vedrà più avanti come il concetto di organizzazione "orizzontale" sia considerato importantissimo. Un anarchismo di tipo essenzialmente "pratico", quindi, votato all'intento di riprendere il controllo delle proprie vite ( take back control of your life è un famoso slogan spesso usato dal collettivo di Profane Existence di cui si parlerà nel terzo paragrafo) sconfinando nell'adozione di numerose pratiche illegali (occupazioni, attività sommerse, sabotaggi, danneggiamenti e via dicendo) dove la loro stessa illegalità viene messa in discussione in quanto espressione della repressione di un ".sistema iniquo e alienante dove anche il semplice diritto di fare una festa all'aperto, che vuole essere libera e gratuita per tutti, viene inscatolato in una logica di profitti e permessi da chiedere con relative tasse da pagare. come se dovessi pagare per divertirmi coi miei amici." Il rifiuto di strutture e gerarchie si denota anche nell'accesa avversione nei confronti della polizia e delle istituzioni militari, criticati come difensori degli interessi e dei profitti del sistema nonché principale mezzo repressivo usato contro chi cerca di sottrarvisi.

L'avversione per le forze dell'ordine è rinforzata, oltre dal valore simbolico intrinseco alla loro funzione, dalla brutalità che spesso viene usata in sede di manifestazioni, sgomberi e altre occasioni di incontro / scontro. Le pubblicazioni DiY sono piene di denuncie sulle varie violenze fisiche e psicologiche, oltre ad utili consigli su come cercare di difendersi e come comportarsi in caso di arresto. Ma se il DiY è un movimento pacifista, non lo si può certo definire "pacifico". Il motto fight back ("reagisci") è molto sentito da parte di buona parte degli attivisti del movimento. In questo contesto si apre il dibattito fra fluffy , tipico della cultura alternativa in generale, e spiky , principalmente anarchici. I primi sono per un'azione diretta non violenta, che funga quindi più che altro da esempio, mentre i secondi sono per un'azione diretta di tipo "violento" che comprende non solo reazione ma anche attacco e distruzione di Mc Donald's e banche durante le manifestazioni tanto per fare un esempio fra i più noti. Il dibattito si esaurisce nel campo del libero arbitrio ovviamente. Finora sfiorata è bene analizzare un'altra caratteristica peculiare e fondamentale del DiY: il movimento è strutturato attorno a tematiche fortemente ecologiste e di stampo radicale. La difesa dell'ecosistema, di Madre Terra ( Mother Earth ), segue percorsi e obiettivi variegati tutti volti al cercare, attraverso strategie di azione diretta, di lenire gli ingenti danni della furiosa industrializzazione del mondo post moderno. I diritti animali sono una issue molto importante: prevale una dieta di tipo vegetariano o vegano (la dieta vegana esclude qualsiasi prodotto di derivazione animale) come primo passo per ribellarsi al genocidio animale. L'attenzione viene rivolta anche ad altre forme di sfruttamento animale come i laboratori di vivisezione che spesso ricevono le "visite" dell' Animal Liberation Front , collettivo di individualità che si introducono nei laboratori per liberare gli animali da morti orrende e lasciare magari qualche danno come ricordino.

Non solo gli animali sono al centro dell'attenzione ma l'ecosistema tutto, soprattutto in questo periodo di biotecnologie e sperimentazioni incontrollate che, con l'intento di creare nuovi eccellenti prodotti per il mercato, vanno incontro a veri e propri disastri ecologici. Sabotaggi, boicottaggi, volantinaggi e via dicendo sono alcune delle pratiche usate dall'azione diretta. Non solo: per fermare l'avanzata delle strade e autostrade si sono formati collettivi come Reclaim the Streets e Road Alert! capaci di organizzare enormi rave per bloccarne i lavori. Un'altra tattica molto usata è la creazione di un campeggio, villaggio hippie nella campagna, bosco o parco minacciati di distruzione. Si sviluppano villaggi di tende, tepee, capanne, case sugli alberi. Si scavano tunnel per agevolare le azioni di sabotaggio. C'è chi si ammanetta alle ruspe usando il proprio corpo come efficace mezzo per impedire il proseguire dei lavori (così come c'è chi mura un braccio alla propria abitazione per impedirne l'abbattimento). Il Critical Mass è invece un'azione congiunta di centinaia di biciclette che, con l'intento di riprendersi gli spazi urbani popolati da orde di frenetici automobilisti, bloccano il traffico creando una zona più sicura alla circolazione delle bici. Queste sono solo alcune delle nuove forme di protesta. Azione diretta, vita nomade, occupazioni, autoproduzioni e via dicendo sono tutti tentativi concreti di radicale riorganizzazione della propria vita nonché di riappropriazione di spazi e libertà, dettati dall'urgenza di un mondo che viene visto come sempre più minacciato in nome del potere, dello sfruttamento e del denaro. Un rifiuto radicale: Do It Yourself !

continua al par. 1.2 "Crass: l'esempio"...

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