THE ORB - U.F.ORB (Wau! Modo, 1992)

1 O.O.B.E
2 U.F.ORB
3 BLUE ROOM
4 TOWERS OF DUB
5 CLOSE ENCOUNTERS
6 MAJESTIC
7 STICKY END

Questo disco del 1992 è un caposaldo dell'elettronica ambientale, quella chill-out che serviva a "riprendersi" in ambienti appositi dopo ore di raves e s\ballo. Già attivi fin dalla fine degli anni '80, gli inglesi ORB di Alex Paterson hanno contribuito alla creazione delle sonorità post-rave, quella famosa elettronica da ascolto che iniziava in quegli anni la propria comparsa diramandosi poi in infinite strade. In coppia con il precedente "Adventures beyond the ultraworld", "U.F.ORB" rappresenta la trasformazione della tech-house in lunghe suite ambientali dove Paterson, avvalendosi dei contributi dei suoi mutabili compagni di viaggio, in questo caso "Trash" Kris Weston e Thomas Fehlmann, ricercava tramite suites e collages sonori un'apparente stasi siderale e psichedelica che trovava poi sfogo in un incedere tech-house stralunato e nel dub. "U.F.ORB" è anche un esempio della maestria di Paterson in termini di mixaggio e campionamento, rappresenta insieme ad altri illustri dischi dell'epoca la base dell'elettronica ambientale che oggi ascoltiamo e di gran parte dell'idm. Paterson stesso si rifaceva al vecchio ambient, quello degli anni '70, con Brian Eno e il rock spaziale di Tangerine Dream e Pink Floyd come punto di riferimento, lui stesso era nell'entourage dei Killing Joke e l'anima "scura" non gli è mai mancata, pur tendendo alla multietnicità.
L'icipit di "Out of body experience" è un chiaro manifesto d'intenti, un macrocosmo sospeso e quasi new age, dove però l'idillio non è mai brodoso e scontato ma screziato da voci, fiati orientaleggianti, minimalismo, e dall'apparato sintetico che lascia l'inquietudine del tutto può succedere, tutto è in potenza. La title track infatti inizia sempre con un primordiale calderone ambientale che poi lascia spazio ad una soffusa tribal tech-house, cosa che avverrà anche in "Close encounters" e in "Majestic", lunghi brani dai tratti etnico-houseggianti, intervallati da ponti sospesi sullo spazio fino al nuovo exploit ritmico soffuso, l'ideale per bersi qualcosa dopo aver furoreggiato o per intrattenersi amabilmente sui divanetti. Forse però è la parte centrale del disco ad essere rimasta memorabile, pezzi come "Blue Room" e "Towers of dub" hanno fatto storia. La prima forse rimane tra le migliori espressioni ambientali dei '90, una lunga suite di quasi 18 minuti dove si mischiano echi industriali ovattati da cuscini, drones sfuggenti che si perdono lungo i corridoi voltando l'angolo e ritmiche che a metà suite fanno la loro comparsa in punta di piedi, trastullando e stuzzicando la mente fra echi di televisori e gente di passaggio. "Towers of dub" è un altro classico del trio Paterson/Trash/Fehlmann, l'inizio parlato lascia spazio ai latrati di un cane e sospiri lanciati in un contesto cyber appena accennato, fino alla comparsa di un'armonica bucolica che sfregia l'incedere dub incesellandosi con i precedenti campionamenti fino alla calma assoluta.
"U.F.Orb" è in classico dell'elettronica da ascolto, ora come ora può forse suonare datato ma conserva il suo fascino, i primi lavori degli Orb sono comunque seminali nelle coordinate musicali degli ultimi vent'anni.

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